È estate … dicono.
Io non me ne sono accorta, non so se è per colpa della pandemia, dei problemi di salute, oppure di quelli economici, ma per me da un po’ di tempo le giornate hanno un solo colore, un grigio chiaro che mi rende difficile vedere lo scorrere del tempo.
Per me adesso non ci sono ore, giorni, settimane ma un solo lungo attimo che si protrae all’infinito, di colore grigio chiaro, che per fortuna non blocca la luce ma non mi fa percepire i colori.
Colori che ho visto e vissuto nelle passate estati, quando da piccola vivere era la gioia dello stare in famiglia, dell’andare al mare in dieci (cinque della mia famiglia e cinque della famiglia di un caro amico di mio padre) stipati in una FIAT 850 rosso amaranto (la prima auto che mio padre ha comprato).
Sono stati i viaggi più divertenti che io abbia mai fatto e che rifarei volentieri, per ritornare a vedere persone di cui ho perso ogni contatto e che sono state importanti per un lungo periodo della mia infanzia.
Mi sono accorta dell’assenza dei colori quando innaffiando la mia piantina di pomodori nel mio orticello, sono stata abbagliata da un raggio di sole riflesso dalle lenti dei miei occhiali.
Ho chiuso gli occhi e…. il calore del sole sul viso, sulle spalle, il profumo dei pomodori, il rumore dell’acqua che scorreva dalla brocca, mi hanno portato alla mente i ricordi di quelle estati da bambina, quando si faceva la conserva di pomodoro, il succo di frutta fatto in casa o quando, per andare al mare, ci svegliavamo alle sei di mattina. Era una festa per noi bambini!
Insieme alle mie sorelle andavamo a casa dei vicini, che avevano una stalla con tre o quattro mucche, ad aspettare che mungessero gli animali e che ci riempissero la bottiglia per fare colazione.
La maggior parte dei giorni perdevo io alla conta e quindi ero costretta ad entrare nella stalla svegliandomi con lo schiaffo olfattivo della puzza di un ambiente non ancora pulito, mentre le mie sorelle restavano fuori a giocare col cane, un grosso e vecchio labrador nero.
Sono ricordi che conservo gelosamente.
Tutto questo annunciava una giornata di divertimento, perché solo d’estate, libere dalla scuola, mia madre ci permetteva di aiutare.
Fin da quando ho memoria (da quando avevo sei anni fino a quindici/sedici anni), le nostre estati (che iniziavano sempre da metà aprile e finivano agli inizi di ottobre) erano piene di abitudini e rituali che le scandivano.
Ci si alzava sempre prestissimo, verso le cinque e mezza /sei e ci si preparava. Io e le mie sorelle aiutavamo papà a riempire l’auto con tavolino, sedie, ombrellone e frigo, mentre mamma bolliva il latte che avevamo portato dalla stalla.
Gli unici giocattoli che ricordo, erano un secchiello e una palettina colorati, con cui dovevamo giocare tutte; gli altri portavano un pallone da calcio, anche questo condiviso. Non ci serviva altro.
Dopo un controllo generale di mamma, si entrava in auto e si partiva per la nostra avventura.
Prima di arrivare al mare, dovevamo prendere il secondo ingrediente della nostra colazione, offerto gratuitamente da madre natura: le more.
Abitavamo a circa venti minuti dal mare, ma per arrivarci ci impiegavamo sempre più di un’ora e mezza, perché a metà strada mio padre aveva scoperto una “scorciatoia” che sbucava quasi di fronte alla spiaggia libera dove eravamo abituati ad andare.
Una strada che aveva sui due lati, per quasi tutta la lunghezza, moltissimi cespugli di more. Per raccogliere mezza scodella di more, cinque persone ci mettevano circa un ora e mezza. Anche perché una buona parte di quelle raccolte, finivano subito in bocca con le grida di mamma nelle orecchie che ci raccomandava di aspettare di lavarle prima di consumarle.
La “scorciatoia” collegava vari paesi di solito formati da piccoli agglomerati di poche case con la chiesa, di cui la parte antistante era la piazza centrale e dove, durante il mese di agosto, venivano ospitate le sagre a cui partecipavamo con religiosa assiduità. Nelle domeniche di fiera, si lasciava la spiaggia intorno alle due e si andava a festeggiare nei vari paesi.
Visto che dalle fiere si tornava sempre oltre la mezzanotte, di solito, il giorno dopo, al mare, ci si andava di pomeriggio oppure si preferiva trascorrere la giornata riposandosi.
Poi finalmente si arrivava alla spiaggia e si scaricava l’auto. Mentre papà montava l’ombrellone, sistemava il tavolo e le sedie, mamma preparava la colazione. Latte con le more….qualcosa di buonissimo!!!
Noi non eravamo molto contente di fare colazione in spiaggia, perché poi mamma ci obbligava ad aspettare tre ore per poter fare il bagno. Obbligo che non rispettavamo, infatti, dopo circa un’ora e mezza correvamo in acqua.
Venivamo costretti ad uscire dall’acqua per pranzare. Mentre aspettavamo le tre ore (mamma, dopo pranzo, era più rigida con gli orari), giocavamo sulla riva oppure raccoglievamo le telline per la cena (in realtà, mio padre, con il rastrello, raccoglieva abbastanza telline da poter sfamare almeno due o tre famiglie).
Dopo le inevitabili tre ore, finalmente, ci si ributtava in acqua e venivamo tirati fuori, a forza, una mezz’ora prima di dover tornare a casa.
Quei giorni, scanditi dalla routine, potrebbero, a prima vista, sembrare nulla di speciale, ma sia allora, che adesso, li ricordo pieni di colori, gioia e spensieratezza.
Non so dire il perché, ma le mattine con i preparativi mi ricordano il bianco.
Il viaggio per arrivare alla spiaggia mi ricorda il verde, il rosso, il viola, l’arancione e il marrone.
L’arrivo in spiaggia, la scelta della posizione dell’ombrellone e delle sedie, mi ricordano l’azzurro e il giallo.
I giochi in comune, il gelato del venditore ambulante e lo stare stretti in auto, mi ricordano l’arancione, il rosa e il giallo chiaro.
La prima entrata in acqua, il freddo, l’attesa, la prima immersione, mi ricordano il blu e il verde chiaro.
Il viaggio di ritorno, la stanchezza, l’attesa per la prossima gita, mi ricordano il bianco, il celeste, il verde e il rosso.
Voi che colore date ai vostri ricordi, felici o tristi che siano?
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