Mi chiamo Rossella e soffro di un disagio psichico da ben ventisei anni.
Mi sono avvicinata al mondo del volontariato quando ho perso il mio lavoro avendo scoperto di avere la Sclerosi Multipla (incredibile, stesse iniziali della prima malattia Salute Mentale). Stavo tutto il giorno in casa a guardare la televisione, non sapendo come fare a far venire sera, finché il Centro di Salute Mentale non mi parlò dell’esistenza di un gruppo di Auto-Mutuo-Aiuto. Frequentandolo ho capito che la mia vita poteva avere ancora uno scopo.
Quando si soffre di un disagio psichico spesso ci si ritrova soli a dover gestire la propria sofferenza, incapaci o impossibilitati a mantenere relazioni significative. Gli amici che fino al giorno prima vedevi e sentivi al telefono si allontanano, non ci sono più e ci si ritrova soli, senza nessuno con cui parlare (1). Quando parlo con i “ragazzi” questa è la prima cosa che mi dicono: “Avevo tanti amici, ora sono solo” e la mia risposta è questa “Non è vero! Siamo noi i tuoi nuovi amici”. Siamo “Amici” anche con la A maiuscola perché avendo il medesimo problema o vivendo una condizione simile, possiamo confrontarci, condividere le emozioni, vivere una reciproca comprensione, una vicinanza, uno scambio di opinioni di pareri, di consigli in un clima di rispetto e non giudicante. Una volta compreso il funzionamento, il passo successivo è stato diventare facilitatore di un gruppo di Auto-Mutuo-Aiuto.
Quando, dopo un anno, il consiglio direttivo dell’associazione vignolese dei familiari di persone con disagio psichico è venuto meno, mi è balenato in testa di entrare a farne parte non solo come socio, pur sapendo bene che con i miei problemi di salute non avrei potuto fare il presidente. Spontaneamente mio marito mi ha seguito in questa impresa, come in tutte le altre della mia vita, e si è proposto come presidente. Sono stati quattro anni molto arricchenti che mi hanno insegnato tanto sul volontariato ma soprattutto su me stessa. Aiutare gli altri penso che sia per me la migliore delle terapie, a volte anche più efficace dei farmaci stessi!
Nel 2017 ho deciso di frequentare un corso per diventare Esperto in Supporto tra Pari (ESP). Le motivazioni che mi hanno spinto a diventare ESP sono tante ma soprattutto l’interesse a far parte e contribuire a migliorare il sistema della Salute Mentale nel suo complesso, il desiderio di contraccambiare quanto ricevuto di positivo nel mio percorso, per aiutare e sostenere le persone (miei pari) che stanno attraversando una situazione di disagio.
Gli ESP sono il risultato più visibile e importante del fareassieme, professionisti "esperti per esperienza”. Ma cosa vuol dire “fareassieme”? A livello teorico significa credere che tutti, operatori, utenti, familiari, possiedano un SAPERE, che per gli operatori deriva da un percorso professionale, mentre, per gli utenti e i familiari, dall'esperienza acquisita convivendo con il disturbo psichico. Dal rispetto, dal riconoscimento e dall'integrazione di questi due saperi si favorisce la nascita di un sistema basato sulla fiducia reciproca e sulle relazioni paritarie. Fareassieme significa credere che ognuno abbia delle risorse e non solo dei problemi. In tutti, anche nella persona che vive le più grandi difficoltà, possiamo scoprirle e imparare a valorizzarle al meglio.
L'ESP è una persona che ha attraversato il disagio psichico ma è stata in grado di trasformare un’esperienza di sofferenza e di dolore, vissuta sulla propria pelle, in un percorso di consapevolezza e di Recovery. Il concetto di Recovery fa riferimento non tanto alla guarigione in senso clinico, quanto piuttosto ad un percorso personale che consente al paziente di condurre una vita soddisfacente sia sotto l'aspetto dell'autorealizzazione sia rispetto alla possibilità di acquisire un ruolo dignitoso nel contesto sociale. Un modo di vivere in cui si riguadagna fiducia in sé, nonostante la persistenza dei sintomi. L’empatia e la relazione “alla pari” svolgono un ruolo unico e non realizzabile dagli operatori: l’ESP diventa una “prova vivente” del possibile cambiamento ed offre quella quota di speranza possibile che soltanto chi ha attraversato la malattia in prima persona può dare.
Quando Giancarlo, presidente dell’Associazione Avere cura, mi ha chiesto di collaborare con loro in qualità di ESP volontario, ho subito accettato. Fin dall’inizio mi è piaciuto il nome dell’Associazione e le quattro parole chiave: diritti, relazioni, partecipazione attiva, speranze ragionevoli.
AVERE CURA è mettersi a fianco dell’altro e condividere con lui la fatica e bellezza di un percorso. Ma forse, prima ancora, è aiutarlo a sentire che un cammino è possibile, che il futuro non è una sentenza già scritta di malattia e disabilità. Bisogna far sì che l’altro si senta via via più capace di riappropriarsi della propria vita. Perché capaci non si nasce ma si diventa grazie agli altri.
Lo sviluppo dell’attività della nostra Associazione la porta ad integrarsi nella rete della comunità locale, regionale e nazionale della Salute Mentale, costruendo RELAZIONI che producono sinergie e valore aggiunto.
L’inclusione dei familiari e degli utenti nei percorsi di cura è uno dei capisaldi portati avanti dalla nostra Associazione. Pensiamo sia nostro compito guidare l’apprendimento dei diretti interessati al ruolo di comprimari nella formulazione di Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM), Progetto Terapeutico Riabilitativo Individuale (PTRI) e Budget di Salute al fine di arricchire i programmi formativi, i criteri di valutazione e gestione dei percorsi terapeutici. Riteniamo, inoltre, che il sapere esperienziale di utenti e familiari debba essere necessariamente affiancato al sapere dei professionisti (“Al vostro fianco per la parte che ci compete”) ma nello stesso tempo chiediamo di fornirci la formazione necessaria a esercitare al meglio il nostro ruolo.
La Legge 219 del 22.12.2017 (Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento), entrata in vigore il 31.01.2018, viene considerata un passo in avanti sul piano dei DIRITTI civili in Italia, in quanto garantisce una esplicita tutela delle decisioni personali riguardanti i trattamenti sanitari, presenti e futuri, cui accettare o rifiutare di sottoporsi. Uno degli elementi essenziali, sia nel caso in cui le Disposizioni Anticipate di Trattamento siano redatte autonomamente dai diretti interessati, sia nel caso in cui siano il frutto di un processo condiviso con i professionisti, è rappresentato dalla scelta del soggetto di assumere un atteggiamento attivo e consapevole rispetto al proprio percorso terapeutico, uscendo dalla posizione di passività nei confronti del disturbo e delle scelte dei professionisti (PARTECIPAZIONE ATTIVA).
Altra parola chiave della nostra Associazione è la “pratica della SPERANZA RAGIONEVOLE (2)”. A partire dalle esperienze di utenti dei Servizi di Salute Mentale dei paesi anglosassoni, che, fra gli anni Settanta e Ottanta, cominciarono a raccontare in prima persona i propri percorsi di malattia e di guarigione e le strategie personali individuate per gestirla, si è notato, come il risveglio della speranza, di recuperare un’identità positiva, sulle cui basi “ricostruirsi una vita”, è possibile. Gli elementi chiave comuni tratti dai “percorsi positivi dei sopravvissuti” sono l’essere ascoltati, l’essere creduti, disporre di un testimone empatico, disporre di almeno una persona che creda fermamente alla tua guarigione. Quella che viene esplorata è la “speranza ragionevole”: noi siamo qui per essere quella persona che vi sta accanto e che è fortemente convinta che “Guarire si può”.
Rossella, Esperta per Esperienza
Note
- “La mia patologia è che son rimasto solo” da Ti regalerò una rosa di Simone Cristicchi,
Festival di San Remo 2007 - “La pratica quotidiana della speranza. Storie di guarigione a cura di Giuseppe Tibaldi,
Editrice Mimesis, 2020
Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Associazione Avere Cura OdV (Carpi), per pubblicarlo sulla rivista Voce di agosto 2022.
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